L’Italia è tutta una periferia: Renzi non lo ha capito


La corsa all’interpretazione del voto di domenica (e del 5 giugno) è diventata così confusa da non riuscire a raggiungere alcun traguardo. Un politologo molto acuto come Ilvo Diamanti nella sua analisi su “la Repubblica” lo ha detto con disarmante chiarezza: i risultati delle urne hanno fatto venire meno tutti i tradizionali punti di riferimento. Ha vinto il Movimento 5 stelle? Sicuramente anche perché ha conquistato la poltrona di sindaco in due grandi città, trionfando così su due palcoscenici mediaticamente molto esposti come Roma e Torino (lo saranno anche dopo il voto, quando si comincerà a valutare l’operato delle neo-elette, Virginia Raggi e Chiara Appendino). Ma poi guardi con maggiore attenzione i dati e ti rendi conto che è andato piuttosto bene anche il centro-destra che semmai ha ottenuto il risultato “nascondendosi” dietro le liste civiche. Nel frattempo, però, la destra (che per anni ha governato con Berlusconi) cioè la Lega Nord, ha perso la sua città-simbolo, Varese.
Alla fine l’unico dato che emerge veramente con chiarezza è la sconfitta del Pd che ha lasciato per strada la metà dei comuni che occupava prima di questa tornata elettorale. Ha perso il partito di governo, ha perso il partito che si è identificato in un presidente del Consiglio che con la sua ottimistica narrazione ha provato a convincere il paese che in questi anni di sua permanenza a Palazzo Chigi tutto stava cambiando per il meglio: cresceva l’occupazione, cresceva il reddito pro-capite, crescevano le opportunità per i giovani, cresceva persino la competitività della nostra nazionale di calcio che agli Europei è approdata al secondo turno dopo essere stata umiliata due anni fa ai Mondiali. Poi, però, chiuso il giornale, o spento il televisore, o abbandonato il computer o lo smartphone, quello che un tempo sarebbe stato definito l’uomo della strada si guardava attorno e si rendeva conto che il figlio trentenne abitava ancora nella camera accanto e che la mattina, molto presto si sarebbe alzato per andare a svolgere un lavoro sottopagato (semmai con un bel voucher), che l’anziana mamma malata di alzheimer non aveva le cure adeguate perché le strutture, nonostante questo stia diventando uno dei mali del secolo per via dell’invecchiamento della popolazione, mancano e mancheranno ancora a lungo, che nel frattempo i pochi quattrini depositati in una delle trasparentissime banche italiane si erano volatilizzati.
Un vecchio adagio dice: puoi provare a prendere in giro una persona tutte le volte che vuoi; puoi provare a prendere in giro tutti una sola volta; non puoi pensare di prendere in giro tutti, tutte le volte che vuoi. Evidentemente Matteo Renzi non conosceva questo vecchio adagio e ha continuano a raccontarci una realtà che non esiste o forse esiste per i suoi amici più stretti, Sergio Marchionne, Davide Serra, mister Eataly Oscar Farinetti. Ma quella non è l’Italia (Marchionne non è proprio italiano). Soprattutto non è l’Italia delle periferie e questo paese, con la crisi, è tutto una periferia, anche quelle zone che tecnicamente non lo sarebbero.
Ecco perché al di là dei vincitori ufficiali, ha vinto il disorientamento. Non sappiamo a quale santo votarci e, allora, scegliamo quello che in momento dato ci offre le garanzie maggiori perché semmai o non ha ancora avuto il tempo per deluderci o non ci ha dato l’impressione di averci deluso. Votiamo Raggi e Appendino ma votiamo anche Luigi De Magistris che scende in piazza a Napoli armato di champagne e “rivestito” con la maglia del Napoli, l’unico segno identitario sopravvissuto al frullatore economico-sociale: la squadra del cuore.

Antonio Maglie - Blog della Fondazione Nenni