Adriano Prosperi: Inquisizione organismo vivente

"Quello di cui stiamo parlando è una istituzione del passato o è un organismo vivo e in piena attività?" . Si conclude con questa domanda l'interessante articolo di Adriano Prosperi, il maggiore studioso italiano dell'Inquisizione, pubblicato in apertura al nuovo numero della rivista "Belafgor", diretta da Carlo Ferdinando Russo.
La domanda posta da Prosperi, docente alla Normale di Pisa, arriva dopo una ricostruzione critica di una storia dell'Inquisizione in Italia, non trascurando il confronto con i Paesi europei cattolici, e un'osservazione sulla durata di questa istituzione della chiesa romana. L'Inquisizione spagnola, osserva Prosperi, nasce nel 1478 e muore nel 1834, quela portoghese nasce nel 1536 e muore nel 1821.
Per quanto riguarda l'Inquisizione italiana la vicenda è più sfumata: l'anno di nascita è il 1542, stabilito da una bolla di Papa Paolo III, l'anno di morte è il 1965 (7 dicembre), quando la IX sessione del Concilio Vaticano II approva la "declaratio de libertate religiosa". In conseguenza di questo atto Paolo VI trasformò la Congregazione del Sant'Uffizio (in base alla riforma avvenuta sotto Pio X nel 1908) in Congregazione per la dottrina della fede.
"L'opera della Congregazione a partire dal 1965 - scrive Prosperi - è stata non solo intensa ma si è collocata con decisione su di una linea che il suo attuale prefetto card. William Joseph Levada ha definito di 'rinnovamento nella continuità'. E' facile rendersene conto a chi sfoglia i 105 documenti raccolti nel volume edito dalla Congregazione stessa nel 2006. Le materie trattate in un'opera normativa che s'è fatta progressivamente più intensa appartengono in pieno alla tradizione storica dell'opera del Sant'Uffizio: basti pensare alla questione della 'sollicitatio ad turpia', da quasi cinque secoli presenza fissa nella giurisprudenza e nell'attività processuale del Sacro Tribunale. E ci sono naturalmente la scomunica per apostasia ed eresia, una speciale attenzione ai rapporti con i fedeli di altre confessioni, una sorveglianza sulle tendenze politiche e le ideologie come la 'teologia della liberazione'".
Tra i libri italiani condannati dall'Inquisizione cattolica nel Novecento quelli di Alberto Pincherle (Moravia), Raffaele Pettazzoni, Adolfo Omodeo, ma soprattutto Benedetto Croce (per 'La storia d'Europa nel Secolo decimonono') e Giovanni Gentile.
Padre Agostino Gemelli osservò che era la prima volta che la Santa Sede condannava un intero sistema filosofico.
dal Blog di Dino Messina - La nostra Storia - Corriere.it

Latella e Albertazzi, viaggiatori d’infinito

Antonio Latella torna al Piccolo Teatro di Milano dal 27 gennaio all’8 febbraio, dando vita insieme a Giorgio Albertazzi alla trasposizione scenica dell’opera che Herman Melville pubblicò nel 1851: “Moby Dick”.

Dall’incontro avvenuto nel 2004 - quando ‘Bestia da stile’ era in scena al Teatro India - in cui intuirono un percorso comune e nacque l’idea di lavorare insieme, Giorgio Albertazzi e Antonio Latella in “Moby Dick” hanno trovato ‘il viaggio comune’, un viaggio senza ritorno al quale è destinato solo chi è pronto a sopportare lo sradicamento e la sfida, a pagare il prezzo che si deve per solcare – liberi - gli oceani perigliosi della conoscenza.
Chi sceglie il mare, sceglie le leggi della natura e non dei cittadini – dichiara Latella - Chi sceglie il mare, sceglie di non camminare. È lui che ci conduce, che ci culla, che ci sbatte, che c’innalza verso il cielo, ci sprofonda verso gli abissi. E’ l’acqua a decidere di noi’.
Acqua che diventa metafora di trasformazione, del potere sgretolante di ogni certezza che si incarna nella solidità della terra ferma. ‘Chi sfida la Balena Bianca - aggiunge il regista - sfida la malattia del vivere. […] Solo davanti alla chiara consapevolezza che il male non è una proiezione, ma è dentro di noi, come l’odio, si può tentare la via del ritorno verso la purezza. Non verso casa”.

Copione teatrale opera di Federico Bellini, ancora una volta al fianco del regista, la caccia alla balena bianca che l’occhio di Ismaele e la sua narrazione intessuta di riflessioni, trasforma da epica in allegoria ed epopea umana, viene portata in scena dalla affiatata e collaudata compagnia di attori diretta da Latella ( del quale ancora batte come un’incudine sul nostro cuore lo straordinario e intenso ‘Edoardo II’ di Marlowe andato in scena nel 2006 sempre al Piccolo Teatro), qui equipaggio della baleniera comandata dal capitano Achab, al quale Giorgio Albertazzi con la sua interpretazione conferisce una potenza tragica e una pietrosa intensità.

Passata per l’Odéon di Parigi di seguito a una lunga tournée, la baleniera Pequod approda ora sulle tavole del Piccolo Teatro per chiudere il suo viaggio: non ci è dato sapere ora se Strehler gradirà o meno la presenza scenica di Albertazzi data la storica rivalità; confidiamo le Ombre delle idee possano accompagnare questi viaggiatori d’infinito, in una sfida da non mancare.
di Eloisa Dacquino


Piccolo Teatro Strehler - largo Greppi (M2 Lanza) – dal 27 gennaio all’8 febbraio 2009

Giovannino Guareschi al Bertoldo

Dal Blog La nostra storia di Dino Messina - Corriere della Sera



Nell'anno del fascismo trionfante, il 1936, anno della dichiarazione dell'impero e della guerra di Spagna, Angelo Rizzoli affidò a Cesare Zavattini il compito di dirigere una rivista umoristica, . Agli inizi con frequenza bisettimanale il nuovo giornale doveva far concorrenza al marc'aurelio, ma rivolgendosi a un pubblico più colto. Zavattini perciò reclutò alcuni dei migliori giornalisti umoristi, da Giovanni Mosca (che ben presto gli soffiò il posto di direttore) a Marcello Marchesi al campione di grafica Saul Steinberg (ricordate la mappa di New York che guarda Milano?), a Carletto Manzoni e, last but not least come dicono gli inglesi, a Giovannino Guareschi (1908-1968), che sarebbe diventato presto caporedattore.
Nell'anno del centenario della nascita e del quarantennale della morte, accanto alle iniziative milanesi, c'è da registrare una mostra che si aprirà sabato 29 a Brescia all'Auditorium del museo di Santa Giulia in via dei Musei 81/b, sino al 28 febbraio, intitolata . Un titolo significativo perché fa vedere come durante la dittatura fascista se non era consentita l'opposizione era certamente tollerata una certa fronda. E i disegni bonariamente irridenti di Guareschi contro il militarismo , le sue frecciate contro le bellezze italiche (donnone brutte e temibili), o le sue battute nelle rubriche come "Il cestino", "Post scriptum", "Le osservazioni di uno qualunque" ci descrivono non soltanto lo spirito di un'epoca ma un'importante tappa dell'autore italiano più venduto nel mondo (venti milioni di copie ha totalizzato il suo ).


L'autore della saga dedicata a Peppone e don Camillo passa per essere stato un fascistone.

Di destra lo era senz'altro e pure anticomunista. Ma era soprattutto un anarchico, che si divertiva a irridere il potere. Riuscì ad andare in galera con il fascismo perché ubriaco si era messo a urlare contro Mussolini, a essere internato in Germania perché durante la Repubblica sociale si rifiutò di disconoscere l'autorità del re, fece qualche mese di prigione per aver pubblicato sul delle false lettere di Alcide De Gasperi, piuttosto gravi, se fossero state vere, per il ledaer democristiano, perché in esse si invitava gli Alleati a bombardare la periferia di Roma.

Nonostante tutto, Guareschi a noi rimane simpatico perché lo riteniamo un galantuomo e soprattutto uno dei grandi caratteri (e autore di caratteri) italiani.

Le Annales: ottant'anni di storia.


Dal blog La nostra storia di Dino Messina - Corriere Della Sera


Ormai è un motivo che ritorna: le Annales furono vera storia? Così titolava ieri la Stampa un bell'articolo di Miguel Gotor, accompagnato da un controcanto di Giuseppe Galasso che come già aveva fatto in un'intervista a noi si lamenta per le degenerazioni della nouvelle histoire soprattutto in tempi recenti, cioè dopo il 1968. Un'accusa da un punto di vista marxistico l'aveva lanciata un esponente italiano della storiografia delle Annales, Ruggiero Romano, in un saggio uscito nel 1995 da Donzelli intitolato "Braudel e noi, riflessioni sulla cultura storica del nostro tempo". Ma al di là degli aspetti controversiali che servono a rinnovare l'interesse per la materia, non v'è dubbio che le Annales furono vera storia. Forse, furono l'ultima grande rivoluzione nel campo storiografico.
Come annunciava
Marc Bloch ( qui sopra, a destra) nel primo numero, uscito il 15 gennaio 1929, la rivista non era indirizzata ai soli specialisti, anche se gli abbonati inizialmente non superarono i 400. Soprattutto erano l'interdiplinarietà e l'ampliamento delle aree di studio gli elementi che saltavano agli occhi del lettore: si passava da un articolo sul prezzo del papiro nell'antico Egitto a un saggio sull'istruzione dei mercanti nel Medioevo a interventi sull'economica tedesca nel primo dopoguerra e sulla demografia dell'Unione sovietica. Era chiaro: non c'erano ambiti "umili" che non meritassero l'attenzione dello studioso di storia: si trattasse di sistema di comunicazioni (le poste), di alimentazione, di archeologia botanica, di mentalità, ogni singolo ambito della storia umana meritava di essere preso in considerazione. E poi l'arco temporale si estendeva sino all'oggi. I due direttori, Marc Bloch e Lucien Febvre, avevano concezioni di vita opposte (il primo volle combattere con la resistenza francese nonostante avesse più di 50 anni e fu ucciso dai nazisti nel 1944, il secondo attese defilato che la tempesta passasse) ma erano entrambi studiosi affermati e all'avanguardia.
Il terzo nome che bisogna ricordare, accanto a Bloch, che quando fondò la rivista aveva già scritto "I re taumaturghi", e a Febvre, autore tra l'altro di uno studio ormai classico su Martin Lutero, di un saggio sul problema dell'incredulità nel XVI secolo: La religione di Rabelais, è quello di Fernand Braudel. Fu Braudel a portare a compimento la rivoluzione delle Annales, sottolineando il concetto di lunga durata, e lasciandoci contributi eccezionali come lo studio sul Mediterraneo all'epoca di Filippo II. A noi piace aggiungere anche i nomi di Philippe Ariès, Georges Duby, Jacques Le Goff e anche quello di François Furet, che si occupò di storia politica (rivoluzione francese e comunismo) in maniera del tutto nuova.

La domanda "fu vera storia?" è un'esagerazione giornalistica.

Averne ancora di stagioni così.

Della perduta ragione, il Sogno

Dopo lo straordinario successo ottenuto tra ottobre e novembre, torna al Piccolo Teatro Strehler di Milano Luca Ronconi e il suo “ Sogno di una notte di mezza estate”, in scena dal 9 al 23 gennaio 2009.

Il nuovo anno apre dunque con questo atteso ritorno per una delle commedie forse più famose di William Shakespeare e in cui Ronconi dà corpo non tanto al sentimento d’amore, quanto alle ‘ragioni’ dell’amore, di quell’amore.
E’ sostanzialmente una commedia di scambi – spiega Luca Ronconi - tra sogno e veglia, tra persone e nell’intimo delle persone stesse. Un testo”, continua il regista, “che si presta a più livelli di lettura, ricco com’è di simboli, allegorie, risvolti psicanalitici. Ma è anche la storia di una iniziazione all’amore - quattro giovani sono alle prese con i misteri del sentimento e della passione - particolarmente adatta a essere interpretata da un gruppo di giovani che scoprono i trucchi del teatro come i loro personaggi restano vittime di quelli dell’amore”.

Ecco allora muovere nella scenografie realizzate da Margherita Palli, le trame amorose di Titania e Oberon, gli intrighi di Elena, Lisandro, Ermia e Demetrio, nei luoghi del Sogno – Atene e Foresta - lettere dell’alfabeto di svariati colori e misure che si compongono e si scompongono diventando di volta in volta alberi, sedie, palcoscenico per i comici, luci della metropoli, affollando o svuotando la scena, mentre la luce diffusa e chiara di Atene si arrende alle ombre e all’incertezza della Natura.

Cast di giovani attori, costumi firmati da Antonio Marras, per un 'Sogno' alla sua terza e ultima tranche di recite da non mancare: nessun sospiro, nessun languor. di Eloisa Dacquino

Piccolo Teatro Strehler - l.go greppi, Milano - dal 9 al 23 gennaio 2009

Anfitrione e il suo doppio

Commedia dalla comicità plautina che ha il suo culmine nella varietà di toni dei numerosi faccia-faccia tra gli Dei e gli uomini, per la regia di Antonio Zavatteri è in scena al Teatro Libero di Milano dal 7 al 18 gennaio “ Anfitrione”, di Molière.

Un ‘affaire’ si potrebbe dire di corna divine, di ‘Dei’ in combutta contro gli uomini che per soddisfare le proprie pulsioni non esitano ad esercitare violenza, a mentire sulla propria identità e soprattutto ad espropriare l’identità dei propri avversari, privati della propria grazie all’esercizio di prevaricazione ed arroganza dei potenti.
Tema quanto mai ineluttabile ed eterno, ‘Anfitrione’ muove tra il reale e il suo doppio, in un grande ‘gioco’ che è anche opera di indagine sulla vita e sul comportamento dell’uomo.
La storia è presto detta: invaghitosi della bella Alcmena - casta moglie del re di Tebe Anfitrione - Giove scende dall'Olimpo e le si presenta con indosso l'armatura del marito di ritorno dalla guerra; mentre il fedele Mercurio - assunte le sembianze di Sosia del quale corteggia la moglie Cleante - fa la guardia alla porta del palazzo in cui si consuma la divina notte d'amore, faranno ritorno a casa anche il vero Anfitrione e il vero Sosia.

E dunque chi il ‘vero’ Anfitrione, chi il ‘vero’ Sosia?
Tra finzione e realtà, un Molière dalla travolgente comicità
di Eloisa Dacquino

De’ segni de’ tempi

Ci scuserà forse Giordano Bruno se mutuando il titolo del suo libro ( andato perduto), come segno del tempo - di questa nostra nuova alba o tramonto - non ci uniamo al coro dei tuttologi- opinionisti- girotondini- economisti su ciò che sarà l’immediato futuro ( qui ed ora): preferiamo osare e sfidarlo questo Tempo – lasciando dietro lo stupore degli attoniti- e richiamare dall’oblio chi il Tempo l’ha segnato e cambiato.
Per sempre.

Così, nella consapevolezza che a ‘mancare’ sia l’uomo, quello educato al bello, quello eticamente consapevole che il fare sia per il benessere e la crescita comune e che tutti insieme –uomini e donne- sia unicamente per progredire, richiamiamo dall’oblio chi dal mondo e dall’universo è stato dimenticato, più spesso estromesso: quell’ universo è donna.

Fuori - nel mondo in cui viviamo - oltre le nostre coscienze un olocausto di proporzioni gigantesche grida disperato sul corpo di milioni di donne e bambine; è una guerra dichiarata, visibile, che muove sul piano fisico, sessuale, psicologico ed economico dal nord al sud del mondo, nelle nostre case, ad un passo da noi.
Da Nanchino all’India degli Avatar , dalla Cina dei 'saggi' all'Africa nera, dai paesi arabi all'Occidente ricco ed evoluto, nel Darfur, in Congo, in Sudan, nella ex Jugoslavia , oltre 130 milioni sono mutilate nel corpo e nell'anima.
Oltre il velo, un silenzio complice copre il volto delle donne, di tutte le donne, sulle quali quotidianamente si compie il rito : questione di sfumature, certo, difficili da comprendere..

Così, tra guerre dichiarate e terre di conquista, veli a coprire il volto delle donne storia e verità, tra veline gossip e oroscopi per l’anno che verrà, muoviamo fieri e alteri verso donne che nel campo della ricerca, della solidarietà, dell’arte, hanno determinato il ‘progresso della civiltà’ spingendola verso quello che fu definito ‘ il mondo nuovo’.

Donne esempio di emancipazione, genio e perseveranza come Maria Bakunin, Madame Curie, Maria Gaetana Agnesi, Mileva Einstein, Rosalind Franklin e Virginia Galilei , che nel campo della ricerca e scoperte scientifiche hanno dovuto lottare contro i pregiudizi e il maschilismo imperante, rischiando di vedersi strappare scoperte fondamentali, spesso attribuite ai soli colleghi uomini.
Donne come Eleonora Duse, Emma Grammatica, Sibilla Aleramo, Ada Negri, Anna Kuliscioff , Giacinta Pezzana, Alessandrina Ravizza, Ersilia Majno , Maria Montessori, Linda Malnati, Ada Negri.
Donne impegnate in un progetto di libertà e rinnovamento sociale, «donne nuove» che agli inizi del Novecento emerse prepotentemente conquistando spazi di autonomia e libertà attraverso i quali ancora oggi è possibile il confronto.
Una memoria di ‘èlite’ di donne – dunque - del tutto smarrita o forse volutamente dimenticata.
Che qui richiamiamo dall’oblio, sfidando il lettore attento e curioso.

Questi ditirambi chiudono l’ode sulla figura di una donna (di ieri- oggi- domani), che tutte le comprende e riscatta : il premio nobel Rita Levi Montalcini, prossima a spegnere le cento candeline e alla quale con punta d’orgoglio esprimiamo tutta la nostra riconoscenza e stima per ciò che con lo studio, la ricerca, l’aiuto concreto e solidale, ha saputo donare alla scienza e al mondo anche attraverso la sua Fondazione: esempio di sacrificio, abnegazione e volontà è per noi richiamo alla Virtù, in un mondo che reclama comportamenti virtuosi tanto nel campo dell’economia, quanto nel sapere e nella solidarietà e che alle donne impone il prezzo maggiore.

In equilibrio tra storia e memoria, per non dormire.
di Eloisa Dacquino