di W. Shakespeare
Amleto claustrofobico
di W. Shakespeare
Vaticano: gli abusi sessuali dei sacerdoti
Vantini ha raccontato di essere stato in silenzio per anni: "Come avrei potuto dire al mio papà che un prete aveva fatto sesso con me?" Vantini, 59 anni, ha parlato con AP un pomeriggio, raccontando per mezzo di un interprete del linguaggio dei segni gli abusi. "Non si poteva raccontare nulla ai genitorim perché i preti ti avrebbero picchiato."
When he was a young boy at a Catholic-run institute for the deaf, Alessandro Vantini said, priests sodomized him so relentlessly he came to feel ''as if I were dead.'' This year, he and dozens of other former students did something highly unusual for Italy: They went public with claims they were forced to perform sex acts with priests.
For decades, a culture of silence has surrounded priest abuse in Italy, where surveys show the church is considered one of the country's most respected institutions. Now, in the Vatican's backyard, a movement to air and root out abusive priests is slowly and fitfully taking hold.
A yearlong Associated Press tally has documented 73 cases with allegations of sexual abuse by priests against minors over the past decade in Italy, with more than 235 victims. The tally was compiled from local media reports, linked to by Web sites of victims groups and blogs. Almost all the cases have come out in the seven years since the scandal about Roman Catholic priest abuse broke in the United States.
The numbers in Italy are still a mere trickle compared to the hundreds of cases in the court systems of the United States and Ireland. And according to the AP tally, the Italian church has so far had to pay only a few hundred thousand euros (dollars) in civil damages to the victims, compared to $2.6 billion in abuse-related costs for the American diocese or euro1.1 billion ($1.5 billion) due to victims in Ireland.
However, the numbers still stand out in a country where reports of clerical sex abuse were virtually unknown a decade ago. They point to an increasing willingness among the Italian public and -- slowly -- within the Vatican itself to look squarely at a tragedy where the reported cases may only just be the tip of the iceberg. The Italian church will not release the numbers of cases reported or of court settlements.
The implications of priest abuse loom large in Italy: with its 50,850 priests in a nation of 60 million, Italy counts more priests than all of South America or Africa. In the United States -- where the Vatican counts 44,700 priests in a nation of 300 million -- more than 4,000 Catholic clergy have been accused of molesting minors since 1950.
The Italian cases follow much the same pattern as the U.S. and Irish scandals: Italian prelates often preyed on poor, physically or mentally disabled, or drug-addicted youths entrusted to their care. The deaf students' speech impairments, for example, made the priests' admonition ''never to tell'' all the more easy to enforce.
In this predominantly Roman Catholic country, the church enjoys such an exalted status that the pope's pronouncements frequently top the evening news, without any critical commentary. Even those with anti-clerical views acknowledge the important role the church plays in education, social services and caring for the poor.
As a result, few dare to criticize it, including the mainstream independent and state-run media. In addition, there's a certain prudishness in small-town Italy, where one just doesn't speak about sex, much less sex between a priest and a child.
''It's a taboo on top of a taboo,'' said Jacqueline Monica Magi, who prosecuted several pedophilia cases in Italy before becoming a judge. ''This is the provincialism of Italy.''
Breaking the conspiracy of silence, 67 former students from Verona's Antonio Provolo institute for the deaf signed a statement alleging that sexual abuse, pedophilia and corporal punishment occurred at the school from the 1950s to the 1980s at the hands of priests and brothers of the Congregation for the Company of Mary.
While not all acknowledged being victims themselves, 14 of the 67 wrote sworn statements and videotaped testimony, detailing the abuse they say they suffered, some for years, at the school's two campuses in Verona, the city of Romeo and Juliet. They named 24 priests, lay religious men and religious brothers.
Vantini said he, too, was silent for years.
''How could I tell my papa that a priest had sex with me?'' Vantini, 59, told the AP one afternoon, recounting through a sign-language interpreter the abuse he said he endured. ''You couldn't tell your parents because the priests would beat you.''
Kyogen
Il kyogen - nato tra il XIV e il XV secolo - arte millenaria che nel 2001 l’Unesco ha nominato assieme al più celebre noh capolavoro del patrimonio orale e immateriale dell’umanità, approda ora al Piccolo di Milano dopo la visita di Ferruccio Soleri nello scorso mese di luglio al Setagaya Public Theatre di Tokyo con il nostro ormai storico patrimonio dell’umanità, ‘Arlecchino’.
Mansaku, Mansai e Mannosuke Nomura, esponenti di una delle due famiglie che - in Giappone - si tramandano da secoli questa forma teatrale antichissima (Mansai Nomura ha debuttato in teatro a soli tre anni e giovanissimo ha lavorato nel celebre film Ran di Akira Kurosawa) presentano al Piccolo Teatro tre pièce tratte dallo sterminato repertorio (oltre 250 opere): Bo-Shibari (Legato ad un palo), Kawakami (La sorgente del fiume Kawakami), Kagyu (La lumaca).
Il kyogen, che affonda le sue radici nei miti e nelle leggende e assume ancora oggi i caratteri di una cerimonia laica nella ritualità dei movimenti del corpo,della testa o delle mani, come nell’espressività degli occhi e che inizialmente era legato al ‘ noh’ di cui costituiva una sorta di intervallo farsesco, era considerato una parte indispensabile della rappresentazione, perché alleggeriva la tensione drammatica sottolineando gli aspetti ridicoli del reale.
Assunto il carattere di forma teatrale autonoma, il kyogen si sviluppa in brevi pièce comiche che hanno come temi la vita, le abitudini e i costumi della gente comune; recitato prevalentemente senza maschera, utilizza un linguaggio quotidiano, evita qualsiasi riferimento al soprannaturale - se non per parodia - e non prevede i personaggi nobili.
Traditional Kyogen
Piccolo Teatro Studio - via Rivoli 6 - dal 18 al 20 settembre 2009
Biglietteria telefonica 848800304 - www.piccoloteatro.org
Che Dio ci liberi dai dossier
L'ANNUNCIO - «Dando seguito al mandato ricevuto dal presidente della Camera, Gianfranco Fini - ha fatto sapere l'avvocato Bongiorno - è stata presentata querela contro il direttore del giornale Vittorio Feltri in relazione all'articolo "Il presidente Fini e la strategia del suicidio lento. Ultima chiamata per Fini: O Cambia rotta o lascia il Pdl"». La nota ripresa dalle agenzie di stampa parla solo della querela a Feltri e non già anche al Giornale e al suo editore, ovvero Paolo Berlusconi.
VIttorio Feltri, direttore del Giornale (Emblema)
«AVVERTIMENTO MAFIOSO» - La vicenda tiene banco da ormai due giorni. Quanti si erano schierati in difesa del presidente del Consiglio, tra i tanti il ministro Ignazio La Russa, avevano detto esplicitamente di ravvisare una sorta di avvertimento a Fini nelle parole del direttore del Giornale. In particolare, non era piaciuta a molti una frase dell'editoriale: «È sufficiente, per dire, ripescare un fascicolo del 2000 su faccende a luci rosse riguardanti personaggi di Alleanza Nazionale per montare uno scandalo. Meglio non svegliare il can che dorme». Feltri, sempre nell'intervista alla Stampa, aveva detto a sua volta di considerare l'annuncio di querela da parte della Bongiorno come un «messaggio mafioso» perché, appunto, «le querele si fanno, non si annunciano».
«MA CHI E' IL MANDANTE?» - Sul tema interviene anche il leader dell'Italia dei Valori, Antonio Di Pietro: «Ci sono gli estremi tecnici per un tentativo di ricatto in atto, ma ci interessa capire chi è il mandante». «Feltri è l'utilizzatore finale - aggiunge l'ex pm -, ma per chi lavora quando manda messaggi pericolosi alla terza carica dello Stato? Io ho certezze processuali sul fatto che in passato il presidente del Consiglio è stato mandante. Se vuole denunciare anche me, ho "paccate" di documenti processuali che dimostrano il comportamento da mandante di Berlusconi, che ha dato ordini e disposizioni per liquidare attraverso dossier e veline i suoi rivali».
«CONDANNO L'ATTACCO DI FELTRI» - Dalle fila del centrodestra è invece il vice presidente della Camera, Maurizio Lupi, del Pdl, a chiedere uno stop al «gettarsi fango addosso». Nel commentare il contenuto dell'intervista di Giulio Tremonti al Corriere della Sera, in cui il ministro invitava a prendere in considerazione anche i rilievi sulla politica del Pdl mossi negli ultimi tempi dall'ex numero uno di An, Lupi ha esortato a evitare «l'imbarbarimento del clima» e ad un «confronto serio nel rispetto delle posizioni di ciascuno». E quanto a Feltri, Lupi ricorda come già avesse condannato l'attacco al direttore di Avvenire, Dino Boffo, e quella che definisce «la posizione giornalistica strumentale di Repubblica, sempre alla ricerca di un nemico da abbattere». «Ugualmente - afferma ora Lupi- non posso che condannare l'attacco che il direttore del 'Giornalè ha rivolto al presidente della Camera, Gianfranco Fini».
Che Dio ci liberi dai dossier. Si, perché pensiamo che la solitaria determinazione del nostro Presidente della Camera Gianfranco Fini sia aria fresca in un paese in cui a mancare è l’azione e il pensiero autenticamente liberali. Ed è - come saggiamente richiamato da Massimo Teodori in una lettera pubblicata sul Corriere del Sera ‘ paradossale che sia stato un esponente della tradizione neofascista a porre quelle rilevanti questioni di libertà, democrazia e stato di diritto che ovunque sono caratteristiche delle correnti liberali, conservatrici o riformatrici che siano.’ Così , in questo triste paese che sembra aver perso il senso dell’etica del fare e della Virtù, rapito dal vortice mediatico su escort, veline, celodurismo leghista, chi fa che cosa e con chi, assistiamo oggi ad un processo alle intenzioni nei confronti di chi osa porre la giusta e doverosa attenzione alla difesa dei diritti individuali di fronte alla sempre maggiore ingerenza del Vaticano, di chi osa porre dei limiti al dilagare del modello berlusconiano in assenza dei contrappesi del costituzionalismo liberale, di chi osa affrontare con chiarezza problematiche che attengono al prestigio dell’Italia nel mondo in difesa dello Stato e della relativa laicità. E che lo abbia fatto Fini, questo si dovrebbe costituire una minaccia: alla sopravvivenza del cosi detto Partito Democratico che di autenticamente liberale non ha nulla e di tutte quelle anime che pur liberali, ancora oggi non hanno avuto il coraggio di perseguire i propri obiettivi e uscire dal coro, senza ambiguità.
Un giorno con Giovanni
si insanguini un volto, una mano
ci implori – così c’è
chi ignora e chi invece ha nel cuore
la comunione dei vivi e dei morti.”
Giovanni Roboni
Non è stato solo il grande poeta che tutti conosciamo, ammirato e tradotto nel mondo: Giovanni Raboni è stato un infaticabile lavoratore nel mondo dell'editoria, dove è stato dirigente, consulente, curatore di collane, autorevolissimo critico letterario, teatrale, per un paio d'anni anche cinematografico nonché giornalista attento ai problemi della vita sociale, culturale (la sua presenza nelle giurie dei più importanti premi letterari gli è costata la fatica di molte lotte, quasi tutte vittoriose), politica.
Ricco e articolato il programma: alle 16,30 - alla Casa del Manzoni - verrà inaugurata la mostra “Il Catalogo è questo”, a cura di Giulia Raboni, che rimarrà aperta fino a martedì 27 ottobre. Articolata in 16 bacheche secondo un percorso bio-bibliografico, sempre però con attenzione alle esperienze che hanno avuto maggior peso nella attività poetica di Roboni: accanto ai documenti d’epoca (fotografie, lettere), vengono riportati testi autobiografici o poesie successivi che ne commentano l’influenza sulla sua vita e sulla sua formazione culturale (così i libri letti durante lo sfollamento a Sant’Ambrogio di Varese, il rapporto con Milano e l’ambiente culturale degli anni ‘60 e ovviamente la precoce perdita dei genitori). Preponderante l’attenzione alla attività poetica e pubblicistica, a partire dalle raccolte dei primi anni Sessanta, nelle bacheche successive, dove accanto ai libri sono esposte fotografie, lettere di amici e manoscritti.
Dopo la giornata del 16 settembre sono in programma due altri appuntamenti. Il 27 ottobre alle 21 si terrà una visita notturna alla mostra della Casa del Manzoni, con letture di Anna Nogara, mentre il 28 ottobre, con inizio alle 9, all’Università di Milano, Sala Napoleonica (via Sant’Antonio 12), è in calendario una giornata di studi “La Storia di Raboni”.
Gli incontri sono a ingresso libero con prenotazione.
Mercoledì 16 settembre 2009
ore 20.30, Piccolo Teatro Studio (Via Rivoli, 6)
“Nell’ora della cenere”
voce sola e quintetto d’archi
a cura di Giuseppina Carutti
con Franca Nuti e Quartetto Indaco (Eleonora Matsuno - primo violino; Jamiang Santi - secondo violino;
Andrei Harabagiu - viola; Naomi Berrill - primo violoncello; Giacomo Grava - secondo violoncello)
Schubert - Quintetto per archi in do maggiore D 956 – Adagio
Martedì 27 ottobre
ore 21, Casa del Manzoni (Via Morone, 1)
Visita notturna alla mostra “Il Catalogo è questo”
letture di Anna Nogara
Mercoledì 28 ottobre
dalle ore 9, Università degli Studi di Milano, Sala Napoleonica (via Sant’Antonio, 12)
Una giornata di studio
“La Storia di Roboni”
accolti da Elio Franzini e Giovanna Rosa
partecipano Pier Vincenzo Mengaldo, Fernando Bandini, Maria Antonietta Grignani,
Gabriele Frasca, Rodolfo Zucco, Silvana Tamiozzo Goldmann, Stefano Giovanardi,
Fabio Magro, Marco Ceriani, Luca Daino, Gianni Turchetta, Dino Messina,
Enzo Golino, Gianni Mura, Moni Ovadia
Il razzismo al contrario adesso rischia di contagiare l’Italia
Perché mai gli immigrati non dovrebbero avere come meta di poter governare, avere la maggioranza, poterci dominare? Sono uomini e come tali non possono desiderare altro che lasciare la propria impronta nella storia, far vincere la propria lingua, la propria religione, il proprio gruppo… Insomma, se non si cambia del tutto la rotta seguita fino ad oggi, noi non abbiamo futuro. È vero che il loro progetto è quello del Governo Mondiale, con l'unificazione di tutti i popoli, di tutte le religioni, ma sarà bene richiamarli alla realtà: hanno costretto al silenzio, all'umiliazione, addirittura al rimbambimento gli europei ponendogli sempre di fronte le stimmate della seconda guerra mondiale, ma esistono, oltre agli immigrati in Europa, miliardi di uomini, in Cina, in India, in America Latina, che non si piegano davanti alla onnipotente presunzione della guida americana e che manderanno all'aria ogni idea di uguaglianza unificatrice e di governo mondiale.Non sarebbe, dunque, urgente che anche noi, gli Italiani, gli Europei, riprendessimo in mano la nostra vita, il nostro futuro? Cosa hanno fatto di male i giovani italiani, i giovani tedeschi, nati tanto tempo dopo il fascismo, dopo il nazismo, perché debbano ancora tenere bassa la testa, umiliarsi, chiedere perdono? Questo è il razzismo, questa è l'eredità genetica, questa è la peggiore delle ingiustizie.
* Ida Magli – 3 settembre 2009 – il Giornale.it