C’è un tempo che non cancella e non muta ciò che sta oltre la vita: ci chiama, attraverso il suo profumo, come nei colori accesi della fantasia.
In continuo ascolto.
Così, nei colori accesi di questo giorno che non teme tempeste del cuore, questi ditirambi aprono nel ricordo di un uomo, di un padre, il mio: quell’uomo si chiamava Arturo, classe 1928, un uomo semplice quanto straordinario.
E per celebrare la memoria di tutti gli uomini semplici, gli uomini di un tempo cui bastava la parola data e l’esempio sopra ogni altra cosa quale simbolo a richiamare la Virtù, faccio mia la lettera più bella che una donna, una figlia , abbia mai scritto a un padre: quella di Oriana Fallaci.
“…un bravo cittadino che insieme ai diritti invocava i doveri e ad ogni pretesto brontolava ‘oggi si parla troppo di diritti e troppo poco di doveri’. Un democratico coerente che tollerava gli avversari più odiosi e si ribellava con civiltà agli abusi pubblici e privati. Un nemico della furbizia che disprezzava i compromessi e le ipocrisie quanto i fanatismi. Un saggio che non cercava, che non ha mai cercato, il potere e il successo. Un probo che non desiderava, che non ha mai desiderato, la ricchezza e la fama. Infatti ha sempre vissuto del suo lavoro malpagato e poi della sua pensione, questo piccolo grande uomo che agli sciocchi sembrava un uomo qualsiasi, un uomo che non contava nulla (o) contava poco. Non si smentì mai, non tradì mai, non tradì mai se stesso.
Voglio che conosciate come è morto...E' morto come è vissuto, con indicibile coraggio e incantevole dignità. E' morto combattendo l'unico nemico che potesse piegarlo e distruggerlo: la malattia che uccide. Per lunghi mesi e poi strazianti settimane le ha resistito come resistette agli aguzzini di Mario Carità, le ha fatto la guerra come la faceva ai fascisti di ogni chiesa e di ogni colore. E ha perduto, stavolta. Non perchè avesse ottantaquattroanni ( era un vecchio forte, fino a poco tempo fa si arrampicava sugli olivi con agevolezza, avrebbe potuto vivere ancora), ma perchè la malattia che uccide era troppo più forte di lui. Però ha perduto bene. A testa alta, a denti stretti, da eroe. Dalla sua bocca non è mai uscito il più infinitesimale lamento. Mai. Non ha mai dato un attimo di soddisfazione a quel nemico. Mai. Fino all'ultimo. E mentre moriva tra le mie braccia a mezzogiorno di domenica scorsa, gliel'ho detto " Babbo - che uomo coraggioso sei! Che uomo straordinario!" Credo che mi abbia udito, che sia morto ascoltando quelle parole. Era lucido. Comunque glielo dico di nuovo, dinanzi a voi, con sterminata ammirazione, sterminata fierezza " Babbo, che uomo coraggioso sei, che uomo straordinario!". E dinanzi a voi, insieme alle mie sorelle, lo ringrazio per tutto quello che mi ha dato, che ci ha dato, per tutto quello che mi ha insegnato, che ci ha insegnato. Per esempio, a dire pane al pane e vino al vino, a non aver paura di nulla e nessuno, ad essere persone perbene. Lo ringrazio delle sue severità, delle sue inflessibilità, delle sue intransigenze. Lo ringrazio delle sue tenerezze nascoste, del suo amore burbero e profondo, senza smancerie e senza tradimenti. Lo ringrazio anche del rispetto che aveva per le donne, questo femminista ante-litteram. Quest'uomo antico e così moderno. E poi lo ringrazio per quello che ha dato agli altri, al paese, con le sue lotte mai celebrate e i suoi sacrifici mai ricompensati e il suo esempio sottile, mai applaudito.”
Di un padre - di un uomo - una figlia : con gratitudine, amore e infinito rimpianto. Eloisa Dacquino
“…un bravo cittadino che insieme ai diritti invocava i doveri e ad ogni pretesto brontolava ‘oggi si parla troppo di diritti e troppo poco di doveri’. Un democratico coerente che tollerava gli avversari più odiosi e si ribellava con civiltà agli abusi pubblici e privati. Un nemico della furbizia che disprezzava i compromessi e le ipocrisie quanto i fanatismi. Un saggio che non cercava, che non ha mai cercato, il potere e il successo. Un probo che non desiderava, che non ha mai desiderato, la ricchezza e la fama. Infatti ha sempre vissuto del suo lavoro malpagato e poi della sua pensione, questo piccolo grande uomo che agli sciocchi sembrava un uomo qualsiasi, un uomo che non contava nulla (o) contava poco. Non si smentì mai, non tradì mai, non tradì mai se stesso.
Voglio che conosciate come è morto...E' morto come è vissuto, con indicibile coraggio e incantevole dignità. E' morto combattendo l'unico nemico che potesse piegarlo e distruggerlo: la malattia che uccide. Per lunghi mesi e poi strazianti settimane le ha resistito come resistette agli aguzzini di Mario Carità, le ha fatto la guerra come la faceva ai fascisti di ogni chiesa e di ogni colore. E ha perduto, stavolta. Non perchè avesse ottantaquattroanni ( era un vecchio forte, fino a poco tempo fa si arrampicava sugli olivi con agevolezza, avrebbe potuto vivere ancora), ma perchè la malattia che uccide era troppo più forte di lui. Però ha perduto bene. A testa alta, a denti stretti, da eroe. Dalla sua bocca non è mai uscito il più infinitesimale lamento. Mai. Non ha mai dato un attimo di soddisfazione a quel nemico. Mai. Fino all'ultimo. E mentre moriva tra le mie braccia a mezzogiorno di domenica scorsa, gliel'ho detto " Babbo - che uomo coraggioso sei! Che uomo straordinario!" Credo che mi abbia udito, che sia morto ascoltando quelle parole. Era lucido. Comunque glielo dico di nuovo, dinanzi a voi, con sterminata ammirazione, sterminata fierezza " Babbo, che uomo coraggioso sei, che uomo straordinario!". E dinanzi a voi, insieme alle mie sorelle, lo ringrazio per tutto quello che mi ha dato, che ci ha dato, per tutto quello che mi ha insegnato, che ci ha insegnato. Per esempio, a dire pane al pane e vino al vino, a non aver paura di nulla e nessuno, ad essere persone perbene. Lo ringrazio delle sue severità, delle sue inflessibilità, delle sue intransigenze. Lo ringrazio delle sue tenerezze nascoste, del suo amore burbero e profondo, senza smancerie e senza tradimenti. Lo ringrazio anche del rispetto che aveva per le donne, questo femminista ante-litteram. Quest'uomo antico e così moderno. E poi lo ringrazio per quello che ha dato agli altri, al paese, con le sue lotte mai celebrate e i suoi sacrifici mai ricompensati e il suo esempio sottile, mai applaudito.”
Di un padre - di un uomo - una figlia : con gratitudine, amore e infinito rimpianto. Eloisa Dacquino